Luce e gene VDR: una preziosa partnership per la tua Salute

Le azioni non scheletriche della vitamina D, compresa l’azione immunomodulatrice, sono ampiamente dimostrate dalla letteratura scientifica. È necessaria una adeguata comprensione della fisiologia della vitamina D e del suo recettore (VDR) per comprendere il suo ruolo nel mantenimento di una salute ottimale nell’uomo. Tutte le azioni genomiche di 1,25 (OH)2D sono mediate dal gene VDR. Il VDR è un fattore di trascrizione, nonché membro della famiglia dei recettori nucleari degli ormoni steroidei.
La fonte più conosciuta di vitamina D proviene dalla sintesi della pelle indotta dall’esposizione al Sole, tuttavia essa può essere assunta anche attraverso la dieta, anche se la maggior parte degli alimenti, ad eccezione del pesce grasso, contiene poca vitamina D (a meno che non sia fortificata). La carenza di vitamina D può verificarsi quando l’assunzione abituale è inferiore ai livelli raccomandati nel tempo, l’esposizione alla luce solare è limitata, i reni non possono convertire 25 (OH) D nella sua forma attiva, o l’assorbimento di vitamina D nel tratto digestivo è inadeguato. Va evidenziato, ad ogni modo, che la pelle è unica per essere non solo la fonte di vitamina D per il corpo, ma anche per essere in grado di rispondere al metabolita attivo della vitamina D, 1,25 (OH) 2D.
La vitamina D, assorbita tramite la dieta o prodotta nella pelle dal 7-DHC, deve essere sempre attivata prima in 25OHD e a seguire nella sua forma attiva 1,25 (OH)2D. Il colecalciferolo (D3) è prodotto da 7-deidrocolesterolo attraverso un processo in due fasi in cui l’anello B viene rotto dalla radiazione UV (spettro 280-320 UVB) dal Sole, formando pre-D3 che isomerizza a D3 in un processo termosensibile ma non catalitico. Come è noto l’intensità degli UVB della luce solare varia in base alla stagione e alla latitudine, quindi la durata dell’esposizione della pelle agli stessi varia, per produrre D3, in base a questi parametri (Webb et al., 1989).
Il primo riferimento all’effetto fisiologico della luce solare sulla vitamina D è stato illustrato dallo storico greco Erodoto. Egli visitò il campo di battaglia dove Cambise (525 a.C.) vinse gli egiziani e ispezionò i teschi di persiani ed egiziani uccisi. Notò che i teschi persiani erano così fragili che si spezzavano anche se colpiti da un sassolino, mentre quelli degli egiziani erano forti e difficilmente potevano essere spezzati anche se colpiti da una pietra. La spiegazione degli Egiziani a Erodoto fu che andavano a capo scoperto fin dall’infanzia esponendo le loro teste alla luce del Sole, mentre i persiani coprivano la testa con turbanti che li proteggevano dal Sole provocando la debolezza delle ossa del cranio. Più tardi, a metà del XVII secolo, Francis Glisson, professore di Fisica all’Università di Cambridge, nel suo trattato sul rachitismo osservò che la malattia era comune tra i bambini e i teenagers figli di agricoltori e contadini che mangiavano bene e la cui dieta comprendeva uova e burro, ma che vivevano in zone piovose e nebbiose del paese e che erano tenuti in casa durante lunghi e rigidi inverni.
Al giorno d’oggi molte persone sono preoccupate per il cancro della pelle e restano al coperto o coprono ogni lembo della loro pelle come se stessero andando nel deserto arabo. Occorre sottolineare che le stesse lunghezze d’onda UVB che possono danneggiare il DNA e che provocano le bruciature, danno anche il via alla reazione chimica e metabolica che produce vitamina D.
Esiste una correlazione ben documentata tra bassi livelli di vitamina D e cattiva salute e sono numerose le ricerche che dimostrano che moltissime persone hanno bassi livelli di vitamina D. Da qui, sono partiti numerosi filoni di indagine alla ricerca di collegamenti tra basse concentrazioni di Vitamina D e malattie fortemente invalidanti quali la Sclerosi Multipla ed il
Cancro alla Prostata. “Collegare” una bassa vitamina D con queste malattie non dimostra causa-effetto, ma suggerisce questa possibilità. Godere della giusta quantità di Sole può anche aiutarci a scrollarci di dosso il winter blues (il grigiore invernale): la ricerca suggerisce che la luce che colpisce la pelle, non solo gli occhi, aiuta a invertire il disordine affettivo stagionale (SAD). Inoltre, stare all’aria aperta consente di avere una vita più dinamica, attiva e, quindi, salutare.
Nessuno vorrebbe soffrire di cancro della pelle, ma siamo passati dall’adorazione del Sole al terrore del Sole. Come sempre c’è una via di mezzo che include alcune semplici precauzioni quali l’uso di una crema solare con fattore di protezione solare di almeno 15 SPF, l’uso di un cappello se ci si espone per un periodo prolungato.

Di L. Maselli